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venerdì 20 agosto 2010

Grazie a ciascuno di voi!


Carissimi amici,
scrivo innanzitutto per ringraziarvi e per salutarvi perché mi viene spontaneo farlo dopo i giorni indimenticabili che abbiamo vissuto.

Quattro anno fa, anche io realizzavo un sogno: nel mese di luglio del 2007 un piccolo gruppo partiva dal liceo per andare in Africa. Ero in quel gruppo e lo sono stata, da quel momento, per quattro anni.
Carissimo preside, devo a te l’inestimabile opportunità di crescita e conoscenza realizzata in questi anni. Carissimo Biagio, lo vedi, dovevamo ripartire. La gioia che conserviamo dentro per momenti di vita che hanno riempito di fremito e intensità i nostri giorni e che hanno meravigliato i nostri animi, svegliato i nostri sonni, accarezzato la nostra sensibilità, sono la più concreta testimonianza del senso di questo quarto anno del progetto del liceo.

E per me, alla quarta edizione, nulla è cambiato, anzi, l’entusiasmo cresciuto e soprattutto ho sentito miracolosamente familiare una terra così lontana e diversa, guardata, oggi, non solo più con gli occhi dello stupore che il nuovo solitamente regala, ma con occhi ancora più lucidi e concreti. E, penso, di formarsi non si smette mai ma diverse e lontane possono essere le strade-tante- percorse e scelte da ciascun uomo e sono le esperienze che fanno la vita e sono gli incontri che la riempiono, la vita, ed è il bene che forse, ne dà senso, alla vita. Allora, grazie, grazie a chi ha voluto questo viaggio e ci ha creduto.
Grazie a ciascuno di voi.

Annalisa Marinelli

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martedì 17 agosto 2010

FINE

A termine della quarta esperienza di volontariato estivo, senza dubbio con il cuore pieno di emozioni, ricordi, i volti delle persone incontrate 'stampati' e ancora vivi nella mente, il gruppo dei ragazzi di "Un Mondo Di Bene" si appresta a tornare a casa con un'unica speranza: tornare al più presto nella 'terra del sorriso'!!Pronti ad ascoltare i loro racconti, li attenderemo al Liceo "O. Tedone", domani, 18 Agosto. L'arrivo è previsto per le ore 12:30 circa, salvo variazioni comunicate dagli stessi ragazzi all'arrivo in Italia.

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INCONTRI

Una promessa mantenuta a me stesso prima che agli altri: venire in Zambia per toccare con mano. Per poter acquisire il diritto di parola, per poter proporre e realizzare soluzioni insieme a tutti, senza polemiche, ognuno per la sua parte.
E toccare con mano vuol dire immergersi per 20 giorni in una realtà da cui a prima vista vorresti fuggire, anche perché condizionato dal disincanto che il proprio carattere e le proprie esperienze passate comportano. A 20 anni si è più liberi , più immediati; a 50 (e più…), se si è ancora curiosi, vuoi conoscere tutti (o quasi) gli aspetti del problema e talvolta pensi che non ne valga la pena.
E per conoscere bisogna incontrare gente, stringere mani nelle maniere più disparate, dire tante volte “nice to meet you”. La mia curiosità, facilitata dalla presenza di anfitrioni di prim’ordine (come il Nunzio, come Suor Maria Mazzone, come gli stessi ragazzi, come la padronanza della lingua, primo anfitrione della conoscenza,) mi ha permesso di essere parte di tantissimi incontri. Non potrei ripercorrerli tutti, dovrei scriverne un libro. Ho poco tempo per farlo: ma un indice posso anticiparlo.
  • Incontri di disperazione. La disperazione rassegnata e silenziosa dei malati, obbligati in ospedali ridotti a letamai, essi stessi ridotti a cumulo di patologie infettive dove il substrato è l’aids e tutto il resto viene dopo. Malati disidratati cui viene lesinata una infusione endovenosa, pur non potendo ingoiare nulla per la candidosi che gli brucia la gola. Malati chirurgici trattati da chirurghi improvvisati che conoscono solo la demolizione e non si pongono nemmeno l’ipotesi mentale di una chirurgia ricostruttiva. E i bambini malati. Quelli occhi che con l’avanzare della malattia si dilatano sempre di più, fino a spegnersi. E i bambini sani costretti a giocare nel letto della loro mamma malata accanto al letto di una povera donna in fin di vita per superinfezioni. La disperazione di sapere che un modo diverso di curare c’è e, soprattutto, che non tutto si giustifica con la mancanza di mezzi economici.
  • Incontri di rabbia. La rabbia di verificare come questa nazione ricca di tutto (terreno fertile, acqua in abbondanza, minerali, bellezze naturali incommensurabili, animali……), non sappia distribuire ai propri abitanti le sue ricchezze, che restano appannaggio di una classe dirigente corrotta e di compagnie straniere che la depredano con la complicità dei governanti. Incontro al Ministero delle Miniere (il più importante qui in Zambia): “quest’anno abbiamo raggiunto per congiunture internazionali il 50% in più di fatturato” (dati ufficiali, non sappiamo il nero!). “Bene - chiedo io – possibile che la marea umana dei compounds di Lusaka non se accorgerà?” Sorriso ironico o impotente del mio interlocutore. Ministero dell’Educazione: dati ufficiali con il 96% della frequenza scolastica: ma i compounds in cui andiamo ogni giorno pullulano di ragazzi che a quell’ora dovrebbero stare a scuola. Per non parlare delle aree rurali dove un ragazzo deve percorrere anche 10 Km a piedi per andare a scuola. Come la mettiamo? Rabbia che cresce…..
  • Incontri di gioia. La gioia di stare in mezzo a un popolo buono, che ti sorride senza aspettarsi una ricompensa, anzi spesso aspettando il peggio. La gioia dei bambini, che così bene hanno descritto i nostri ragazzi nel blog, dei bambini che si accontentano di poco per giocare ed essere felici, e dei giovani che, malgrado tutto, credono nelle proprie capacità e ti comunicano la gioia di aver raggiunto il traguardo di potersi iscriversi all’Università. La gioia di tanti operatori, religiosi e non, che al bene che fanno ci aggiungono un sorriso…..sempre. E la gioia del malato terminale che risponde al tuo sorriso sincero e alla tua mano calda con lo sguardo di chi scopre di essere ancora vivo e parte di una catena. E tu non vuoi staccarti più.
  • Incontri di speranza. Perché vale la pena far qualcosa per questa gente? Perché qualcosa sta cambiando. Te ne accorgi incontrando le facce sorridenti e determinate dei giovani redattori di un giornale indipendente, che conduce la battaglia per i diritti civili fondamentali (nutrizione, educazione, salute, giustizia, libertà di espressione), contro la corruzione, per il reale compimento del processo democratico, così difficile da queste parti. E la conferma di questo cambiamento te la confermano i nostri referenti sul campo (il Nunzio e suor Maria) che da punti d’osservazione differenti valutano gli effetti nel tempo della diffusione dell’istruzione nei giovani, del senso di responsabilità delle donne (i maschi purtroppo sono assenti!) nel gestire la famiglia. La speranza ti viene dagli effetti dell’indefessa opera del volontariato, soprattutto religioso, che incentiva i genitori (quelli che ci sono!) all’istruzione dei propri figli. Così come ci dà speranza la testimonianza della grande voglia di emancipazione di questa gente: una mama (i papà non esistono!) del compound che chiede di ritornare a studiare almeno l’Inglese per controllare il lavoro scolastico dei figli; gruppi di famiglie che nelle zone più sperdute del paese organizza dal basso “community schools”. E torniamo da dove siamo partiti: gli ospedali. La speranza ci viene dal ritrovare ospedali puliti come quello di Chirundu (dove peraltro lavora come chirurgo un ex-liceale di Corato, il collega Fabrizio Tarricone!......) perché gestito da suore italiane, o nel verificare il buon funzionamento e la pulizia del laboratorio dell’ospedale di Mazabuka (per il resto ad un livello vergognoso di pulizia) perché donato da una associazione volontaria italiana, con l’obbligo contrattuale di rendicontare con continuità il livello di efficienza raggiunto. E per finire Claudia, la grande Claudia: una scricciolo di donna con gli attributi, una collega meravigliosa che a Chikuni, nel cuore della foresta e al centro di un agglomerato di villaggi collegati da mulattiere, ha messo su in 5 anni un sistema sanitario con standard elevatissimi. Ospedale ampio, pulito, ben congegnato, con aree di isolamento e sub isolamento; reparto e ambulatorio per pazienti AIDS aperto al territorio e con controllo casa per casa delle condizioni dei soggetti affetti; tutto informatizzato; tutto con poche infermiere e tanti volontari. Eppoi i programmi di educazione sanitaria irradiati da una radio locale (compresi quelli per bambini condotti da bambini, in lingua tonga!). Tutto da sola.
Quanti incontri qui in Zambia! Ora sto tornando e vorrei incontrare anche la gente della mia terra per fare qualcosa. Non grandi cose, sia ben chiaro. Ma un trattore si può comprare per rendere autonoma una comunità che ha 7 ettari di terra da poter coltivare; un proiettore si può regalare a quella stessa comunità che intrattenere i ragazzi e i bambini dell’oratorio in programmi educativi (ho provato io con i più grandi e vi posso assicurare un interesse quasi spasmodico); alcuni strumenti chirurgici funzionati ma ormai non più usati perché obsoleti, si possono inviare in quegli ospedali dove, sulla base di ciò che ho visto, potrebbero essere utili come il pane; qualche ragazzo/a recuperato/a alla vita dai nostri missionari può essere adottato/a a distanza (come già fatto con successo) affidando il controllo del buon esito dell’iniziativa a quelle stesse persone che l’hanno salvato/a dalla perdizione; un qualche giovane collega di buona volontà e alla ricerca di esperienza vera può per un po’ andare a far compagnia alla povera Claudia; un qualche modo istituzionale (e non) si può trovare per far venire in Italia un collega zambiano per insegnargli a fare ciò che lui sogna da anni di fare; ……….. Insomma cose semplici da fare, incontrandoci.
Lusaka 16 agosto 2010
Onofrio Caputi Iambrenghi

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sabato 14 agosto 2010

Il sorriso dell'Africa

Il sorriso dell'Africa


Dopo venti giorni in Zambia, viene spontaneo lasciare una testimonianza di ciò che s'è vissuto. Non mi sento nelle condizioni di poter dire cosa ho visto in Africa, perché in realtà ho visto solo una piccola fetta di questo continente così, di fatto, sconosciuto: dico di fatto perché io per primo mi sono reso conto che le cose che conoscevo, non rispecchiano del tutto la realtà che ho vissuto qui giorno dopo giorno.

Quando sono arrivato all'aeroporto di Lusaka, superato il momento iniziale che non mi ha permesso di vedere ciò che stavo guardando per via della forte emozione di essere dall'altra parte del mondo, ho iniziato a scorgere i colori, gli atteggiamenti e i suoni che Lusaka aveva da offrirmi. Giorno dopo giorno ho imparato ad aprire gli occhi, ho imparato ad ascoltare, ho imparato a comprendere quello che questa parte di Africa mi stava mostrando. In verità è stato solo ieri che guardando il cielo stellato ho capito e subito ... sul mio viso si è disegnato un sorriso amaro e ironico!
Voglio raccont
arvi la "mia" Africa attraverso quattro punti: Occhi, Piedi, Mani, Cuore. Se si ha in mente l'immagine dell'Uomo Vitruviano, disegnato da Leonardo Da Vinci, si può notare come queste parti anatomiche siano disposte come i quattro punti cardinali: Nord (Occhi), Sud (Piedi), Est e Ovest (Mani). A ben vedere, l'uomo di Leonardo è nella stessa posizione di un altro uomo, ben più grande, venuto sulla terra molti anni prima del genio toscano: Gesù Cristo.

Non mi soffermo molto su questa figura cardine della vita religiosa e spirituale di molti cristiani, ma mi soffermo su un primo aspetto che ci tengo a sottolineare: il parallellismo tra Gesù Cristo, punto di riferimento religioso nella vita di un credente che vuole orientarsi quando si trova lontano dalla morale cristiana, e i 4 punti cardinali, punto di riferimento per chi vuole orientarsi lontano da casa. Per molti questo aspetto può sembrare banale, ma è proprio qui la prima ironia. Ho notato, guardando il cielo stellato, che chi vuole orientarsi utilizzando le costellazioni del firmamento, nell'emisfero settentrionale, ha come punto di riferimento la Stella Polare - nella costellazione dell'Orsa Minore - che indica esattamente il Nord; qui, nell'emisfero meridionale, il punto di riferimento è ... la Croce del Sud! Sembrerebbe quasi che da questa parte del mondo - che di fatto è l'emisfero più povero tra i due - se si vuole cercare una via da seguire, non c'è altra scelta che affidarsi alla Croce, che resta eterna nel cielo come a voler sottolineare la sofferenza che chi nasce qui è condannato a vivere fino alla fine dei propri giorni.
Una volta realizzato questo pensiero, nella mia mente sono cominciati ad affiorare dei flash di quello che avevo visto e, nel segno di quella Croce, tutto è andato al proprio posto come le tessere di un puzzle: ho finalmente capito il perché di tutto ciò che naturalmente ho vissuto e fatto senza rendermi realmente conto di ciò che stessi facendo.

Occhi
La prima cosa che ho notato, andando in giro per i compound di Lusaka con le suore del DMI Order (acronimo inglese che sta per Figlie di Maria Immacolata), sono stati gli sguardi di grandi e piccoli, di uomini e donne, indistintamente. Non erano sguardi sorridenti, come si vede in qualche pubblicità progresso, o sguardi tristi per fame
e malattia che ci ha mostrato per anni il telegiornale: erano sguardi perplessi, sguardi di timore, sguardi che in un modo o nell'altro non mi lasciavano mai finché non uscivo dal compound. In quel momento mi sono chiesto: "mio Dio...è così che guardo un nero che vende qualcosa sulle spiagge italiane? È così che guardo gli zingari che trovo al semaforo andando a Bari?". Ad aumentare il mio senso di soggezione erano anche i silenzi che si creavano al passaggio di noi tre, bianchi, in una strada polverosa di un compound gremito di zambiani, interrotti da qualcuno - grande o piccolo - che, indicandoci, gridava "Muzungu!!!" - in Nianja, "Uomo bianco!". Quello che mi aspettavo, mentre ero ancora in Italia, erano bambini che correvano per le strade, sorridenti e spensierati: invece ho trovato solo bambini che al mio passaggio scappavano a nascondersi dietro qualsiasi cosa trovassero, urlando e piangendo!

Piedi
In verità, più mi trovavo di fronte a questi episodi e più mi fermavo a pensare che c'era qualcosa di più nell'Africa che in questi anni avevo idealizzato. Girando per le strade di Lusaka ho avvertito un'altra sensazione che accompagna chi viene qui per la prima volta: la contraddizione. In effetti, dopo una giornata nel compound, osservare i giardini ampi e rigogliosi delle case di persone importanti della compagine zambiana mi dava un senso di fastidio: mi sentivo fuori luogo. Osservare zampilli che dispensano generosamente acqua per il verde di quelle ville stona parecchio con quello che le povere genti che vivono, in tutti i sensi, ai margini della società: acqua razionata per un'ora al giorno attraverso due o tre fontanelle per una popolazione media di 30 o 40 mila persone! Questo il motivo che spinge i bambini a veri e propri esodi alle prime luci dell'alba. A que
sti si unisce la comunità intera che, per svariati motivi (da quelli lavorativi al bisogno di bere birra – l'alcolismo è la piaga più grossa insieme all'analfabetismo!), si muove per le strade per raggiungere mete spesso lontane kilometri; il tutto rigorosamente a piedi: solo pochi eletti possono permettersi un'automobile, anche perché – altro caso strano – la benzina costa esattamente quanto in Italia! Osservando quei piedi che macinano in un giorno la strada che io percorro in una settimana, mi sono accorto di un secondo aspetto altrettanto ironico: in Africa, le persone hanno i piedi bianchi! La parte anatomica che permette loro di andare dove vogliono, ha il colore degli uomini che per secoli li hanno schiavizzati ... il bianco è dato dalla polvere che regna sovrana – insieme al tanfo e all'immondizia – nei compound.

Mani
Tuttavia l'Africa (nello specifico lo Zambia) non è solo questo. Stando qui ho conosciuto tantissime persone, per lo più donne, che all'unisono lanciavano un unico messaggio proveniente da vari compound: l'Africa è viva e vuole uscire dal pantano che per anni ha intrappolato questa gente impedendo loro di crescere! L'analfabetismo è ancora un problema serio da queste parti, ma la voglia di fare non ha bisogno di cultura. In questo modo le suore del D
MI hanno creato dei gruppi di donne che, con un proprio "business", risparmiano del denaro per permettere a se stesse e alla propria famiglia di avere dello shima (il piatto tipico africano, fatto con farina di mais e acqua) e poter assicurare ai propri figli almeno l'istruzione base. Le mani diventano la chiave per la salvezza di queste genti: le mani delle donne che creano manufatti per poterli poi vendere e le mani delle suore del DMI (nel caso specifico) e dei volontari che contribuiscono alla crescita di questo splendido continente, ma – così come ho detto a un gruppo di bambini durante uno dei nostri incontri – non "Italia e India PER l'Africa, ma Italia e India CON l'Africa", perché se non si lavora insieme è quasi impossibile raggiungere risultati concreti. In verità tutte le persone che ho incontrato, che hanno un'umiltà (che le persone del mio mondo possono solo ipotizzare) e un cuore davvero grande, sono concordi nell'ammettere che è questa la strada giusta, perché l'Africa è vero che vuole risorgere dalle proprie ceneri, ma a modo proprio, non perdendo di vista le proprie radici e la propria cultura: in poche parole, non alienando la propria identità!

Cuore
Questo aspetto del popolo africano, che è ben diverso da ciò che pensavo io (un'Africa disperata che vive e muore ai margini delle strade quasi con la rassegnazione di chi sa che non c'è altra soluzione) mi ha fatto riflettere molto. Durante il mio soggiorno in Zambia ho potuto vivere un'esperienza che pochi hanno potuto vivere: ho conosciuto Grace. L'incontro con lei mi ha stretto un nodo in gola e ha spazzato via in un solo colpo tutta la timidezza e il timore che avevo di vivere in una realtà che non mi apparteneva. Grace è una ragazza di
ciassettenne che la mia famiglia ha deciso di adottare a distanza una decina di anni fa. In questi anni gli unici contatti con lei erano delle lettere che una volta l'anno ci scrivevamo per poter conoscere la sua situazione scolastica, di salute e di vita a "City of Hope", il centro che Suor Maria Mazzone ha costruito a Lusaka per ospitare le bambine che sono nelle strade e dar loro un futuro migliore. Per questo motivo la sentivo come una persona di fatto distante, che non faceva parte del mio mondo. Invece, quando l'ho vista li davanti a me, l'ho vista che sorrideva imbarazzata, ho realizzato che non era più una persona lontana: era una ragazzina come ce ne sono tante, come ero abituato a vedere in Italia ... niente di più. Mi sono sentito subito a mio agio, non ero più un semplice "muzungu", ero parte dell'Africa! A confermare questa sensazione è stata proprio Grace, la quale, alle suore dell'orfanotrofio di Madre Teresa che osservavano perplesse quel dialogo prolungato tra me e lei, diceva "tranquille: è mio fratello!". Questo è il potere dell'Africa: partire da essere "muzungu" fino a diventare "fratello". Il passo è breve, ma bisogna scendere da quel piedistallo immaginario che noi settentrionali pensiamo di avere sotto i nostri piedi e iniziare a vivere alla pari. Questo è quello che ho fatto: ho imparato a vivere CON loro, a parlare CON loro, a sentirmi parte della loro cultura: mi hanno insegnato molto su come ci si comporta, su come si ringrazia il Signore ogni giorno per ciò che si ha (per riprendere quanto detto prima riguardo alla Croce), mi hanno insegnato anche la loro lingua – un minimo in realtà – che mi è servito ad integrarmi ancor di più in questa società straordinaria. Ho osservato meglio e ho visto gli sguardi perplessi o di timore diventare sguardi sorridenti quando chiedevo a un bambino che restava lontano "Wuly bwanji?", che vuol dire "Come stai?" (è il loro modo di salutarsi); quasi incredulo mi rispondeva "Bueno!". Quindi gli dicevo "Buela...", che vuol dire "Vieni...", tendendogli la mano: ed ecco che anziché scappare, si avvicinava timido verso di me tendendomi la mano a sua volta fino a stringermela senza timore.

Ecco che ho volto ancora una volta lo sguardo al cielo stellato africano e di f
ianco alla Croce del Sud c'era la luna: che mi crediate o no, sorrideva anche lei! Ho chiuso gli occhi, ho disteso il volto e ho sorriso di nuovo...questa volta era un sorriso disteso, un sorriso di chi è cresciuto tanto e che ha imparato ancora di più e ho pensato tra me: "Anche il cielo dell'Africa mi sorride, nonostante una croce impressa nei propri occhi, nei propri piedi martoriati dalle lunghe camminate, nelle proprie mani lavoratrici, nel proprio cuore che, nonostante le moltitudini di sofferenze patite, ancora dona amore a chiunque venga qui a scoprire un continente, in realtà, ancora tutto da scoprire!".


Francesco Campanale


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venerdì 13 agosto 2010

Parlare attraverso le immagini

Lasciamo spazio alle immagini che il più delle volte sanno trasmettere molto più di mille parole!!! Ciascuno di noi ha scelto le foto che più racchiudono la propria esperienza!


Francesco Campanale
Occhi

Mani
Piedi
Cuore


Francesco Casarola



Rosa Mazzone


No WOMAN should DIE while GIVING birth

Serena D'Imperio
Il sole d'Africa
Fratelli
L'arte è la cura
Un commento da parte della Prof.ssa Rosanna Pellegrini, che segue il gruppo dalle sue vacanze:
"Cari ragazzi, la lettura del romanzo "La luna che mi seguiva" di Aminata Fofana mi conduce, in questi giorni, nei vostri luoghi, carichi di incanti e terrore, di perdizione, ma anche di sacralità e purezze assolute, dove ogni gesto, anche il più semplice, nasconde la salvezza o l'abisso. Catturate ogni sguardo, ogni sorriso, ogni luce, ogni tramonto di quella terra e nutrite la vostra anima. Con il cuore, Rosanna Pellegrini."
Un caro saluto da S.Gimignano

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martedì 10 agosto 2010

Fine settimana a Mazabuka

Tra povertà e meraviglie naturali


Sabato mattina, di buon ora, l'intero gruppo si è recato a Mazabuka dove Suor Maria ci ha accolto con la sua ormai nota energia e vitalità. Il tempo di sistemarci a "Casa Ruvo" e lei subito ci ha portato in giro per "City of Joy", il suo progetto che da qualche anno a questa parte la tiene occupata a tempo pieno. Quello che abbiamo notato è stata l'evoluzione di questa struttura, che in poco tempo è cresciuta notevolmente grazie soprattutto al contributo indispensabile dei vari sostenitori, che hanno creduto in questa realtà, la quale ospita già 10 ragazze. Un piccolo inizio per un progetto che prevede di poter ospitare ben 60 ragazze di strada con notevoli disagi, spesso troppo grandi per la loro giovane età. Si parla di violenze, di maltrattamenti, di abusi (sia sessuali che psicologici): in particolare siamo rimasti molto scossi dalla storia di una bambina, attualmente dodicenne, la quale ha subìto sin da piccola violenze sessuali anche dai propri famigliari. Ancora oggi sono visibili i segni di questo calvario nel suo sguardo, nei suoi atteggiamenti, nel suo relazionarsi con gli altri e nella sua ricerca disperata di un affetto puro e sincero, senza doppi fini, di quell'affetto che tutti i bambini ricercano da chi li ha messi al mondo. In serata abbiamo avuto modo di trascorrere del tempo con queste ragazze, organizzando giochi, ballando e cantando, sentendoci parte della loro "famiglia".

A bordo del suo pick-up, Suor Maria ci ha mostrato la realtà di Mazabuka, tra cui "Good Samaritan House", il centro di accoglienza di Don Maurizio. Anche qui abbiamo notato una notevole crescita sia del centro che della stessa comunità che lo abita. A mostrarci l'intero complesso è stato un giovane ventottenne zambiano, di nome John, il quale ha preso diligentemente il posto del parroco milanese ritornato in patria da qualche mese.
Durante la nostra breve visita abbiamo anche fatto una piccola sosta nel "villaggio dei pescatori", una comunità aborigena che vive ancora a livello tribale in capanne fatiscenti e in condizioni igienico-sanitarie a dir poco precarie!

Il giorno seguente siamo andati a Livingstone, città che vanta uno dei Patrimoni dell'Umanità protetti dall'UNESCO : le "Victoria Falls"!

La loro spettacolarità è dovuta alla geografia particolare del luogo nel quale sorgono: una gola profonda e stretta, che permette di ammirare perfettamente tutto il fronte della cascata (lunga più di 1,5 km e alta in media 128 m). L'Africa continua a regalarci emozioni, anche tramite le sue meraviglie, perchè questo continente non è solo morte, povertà e miseria, ma anche natura incontaminata e selvaggia.




A fine giornata siamo rientrati a "City of Joy"; all'indomani il gruppo si è diviso per permettere a 3 di noi - Dott. Onofrio Caputi Iambrenghi, Sara Giangaspero e Luigi D'Ingeo - di poter vivere l'esperienza di Mazabuka e far si che la stessa continui a crescere ancora anche con l'operato attivo del gruppo del liceo, mentre i restanti 9 sono rientrati a Lusaka per riprendere ad operare nei propri progetti.

Il Gruppo "Un Mondo di Bene"!

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I volontari del “Tedone” in prima pagina sul Sunday Post di Zambia


Il gruppo dei volontari del progetto “Un mondo di bene” (ragazzi ed accompagnatori di Ruvo Corato e Terlizzi), guidati dal Nunzio apostolico S. Ecc.za Mons. Nicola Girasoli, sono stati ospiti della redazione del quotidiano nazionale dello Zambia, per una visita alla sede e per un incontro sui diritti civili e la democrazia in Zambia.

La testata giornalistica ed il Nunzio hanno condiviso l’importanza, nel contesto dell’attuale situazione politica nazionale e mondiale, dell’impegno per la democrazia e la pace nel mondo. In questa direzione le istituzioni pubbliche, la chiesa, le organizzazioni religiose, i volontari e la stampa indipendente, possono svolgere un ruolo fondamentale per la crescita economica e sociale del paese.
Il giornale Sunday Post opera da 19 anni in Zambia e si colloca nell’area della stampa indipendente che cerca di svolgere un ruolo di stimolo per il governo e le forze politiche. Mons. Girasoli ha sottolineato l’importanza del ruolo che svolge il quotidiano in tutta la nazione per il numero elevato di lettori che lo seguono. L’incontro ha visto partecipi i volontari di “Un mondo di bene” che hanno posto domande ed espresso opinioni sul significato del volontariato, di quello scolastico in particolare, come stimolo ai giovani ad affrontare in maniera corretta i temi della globalizzazione.

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Anche il COMESA ci dedica una pagina del sito

Ebbene si anche al Comesa si parla di noi:




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Articolo su Coratolive del 10 Agosto e Ruvolive dell'11 agosto

a Corato ci seguono...

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e a Ruvo anche...


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sabato 7 agosto 2010

Notizie dal gruppo


Dopo i primi 14 giorni di lavoro a Lusaka, vi informiamo che il gruppo dei ragazzi di "Un Mondo Di Bene" si è spostato a Mazabuka, a 200 km dalla capitale, dove è stato ospitato da Suor Maria Mazzone nel complesso di "City of Joy", che ha già ospitato il gruppo nella scorsa edizione. Si confronteranno con una nuova realtà (per alcuni già nota), altri problemi, e vedranno dal vivo come "City of Joy" è cambiata nel tempo grazie ai diversi interventi dei ragazzi stessi.Lì rimarrà fino a lunedì prossimo, perciò per eventuali problemi di comunicazione legati al collegamento internet non sarà possibile per loro aggiornare il blog. Però tranquilli! I ragazzi stanno bene!





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venerdì 6 agosto 2010

Sguardo al cielo

Ispirato da Njosnavelin dei Sigur Ròs

La scorsa sera ho rialzato lo sguardo al cielo. L’ho sempre fatto da quando sono qui e non smetterò mai di farlo finchè vi resterò. Il cielo d’Africa non è il cielo delle stelle cadenti cui affidare i propri sogni ed i propri desideri, non è il cielo che rasserena l’animo se lo si guarda, non è il cielo interpretato nella nostra effimera accezione, spesso frivola. Tale cielo custodisce e generosamente elargisce molto di più. Conserva il rarefarsi delle futilità della nostra vita, il condensarsi di emozioni che, fondendosi, precipitano in devastanti acquazzoni nella stagione delle piogge. Racconta storie mai raccontate e vite mal vissute, se vissute. Accompagna venti d’entroterra che spazzano via ogni grigiore, perché qui non c’è spazio per ulteriori rancori, lacrime, distorsioni emozionali. 


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giovedì 5 agosto 2010

Mary One & Mary Two: Mother Theresa Orphanage

Lacrime di gioia, una marea di bambini che cantano "We are very happy to see you here", sorrisi, pacche amichevoli sulla spalla, urla. Ci sembrava di non essere mai andati via...tutto uguale, tutto statico, tutto come l'avevamo lasciato... un sogno che ridiventa realtà!!!

Siamo per la seconda volta a Madre Teresa, centro di accoglienza per orfani e malati terminali.

Nonostante la nostra prima esperienza sia stata emotivamente forte tanto da segnare le nostre vite, è stata quella che ci ha arrichite di una consapevolezza e di una maturità tale da permetterci ora di stabilire relazioni più profonde e di vivere a pieno i loro ritmi e la loro quotidianeità.

Il nostro impegno avviene nella più assoluta semplicità.

Al mattino i primi a regalarci sorrisi e pianti sono i più piccoli che accudiamo affiancandoci alle "mami".




Verso le 10:30 bambini di età compresa tra 3 e 6 anni ci aspettano entusiasti insieme alla loro maestra, per varie attività educative che si integrano al programma didattico previsto.















Dopo pranzo, nell'attesa che i bimbi si risveglino dal riposino pomeridiano, la nostra attività prosegue nel reparto femminile dei malati terminali, tra canti, balli e lezioni di lingua locale (Nyanja) che ci trascinano in una cultura da vivere ogni giorno sempre più intensamente. Tal volta ci capita anche di aiutarli in lavori manuali.





Noi,
che cerchiamo di rallegrare le loro giornate,
e spesso ci rendiamo ridicole pur di farli sorridere.
Noi,
che ci improvvisiamo mamme e
abbiamo anche la fortuna di ascoltare le loro prime parole,
vedere i loro primi passi.


Noi,
che stiamo loro accanto quando si addormentano
e sempre lì presenti anche al loro risveglio.

Noi, che alla loro quotidiana domanda "Tornerete domani?"
a breve, a malincuore, risponderemo di no.



A loro, ai quali basta poco per essere felici.


Loro... la nostra Africa!!!


Mary One & Mary Two

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mercoledì 4 agosto 2010

La parola al professor Casarola

10 giorni d’Africa si sentono addosso



Sono solo 11 giorni ma pesano molto di più… il tempo è diluito, i minuti durano tanto di più, a quello che gli occhi vedono si aggiungono le idee che la testa elabora e il tempo si ferma, si allunga, si moltiplica l’attimo. La realtà interpella tutti i nostri sensi, non ce n’è uno escluso. Puzza di piscio per strada o coccodrillo arrosto. Nel compound dove siamo stati oggi, si chiama garden perché era il giardino della tenuta dei bianchi che abitavano la grande villa lì vicino e quando questi sono andati via sono arrivati i poveri dalla campagna ed hanno occupato, ci sono due laghi artificiali grandi e quando arrivi da lontano pensi che siano belli, ma da vicino ti accorgi che è tutta fogna a cielo aperto, una gogna per il tuo naso. Sono divisi da un nastro di terra di un metro largo, e lì i bambini corrono, giocano, passeggiano, vanno e tornano da scuola. Di tanto in tanto qualcuno viene lasciato cadere in uno dei due laghi, dopo qualche giorno il suo corpo riaffiora…


Che strani posti i compounds.

Povertà e miseria vanno a braccetto con voglia di riscatto e progetti per riuscire a vivere una vita “normale”. Molte donne finiscono all’ospedale. Picchiate dai propri mariti, malridotte.







I progetti delle suore nei compounds si rivolgono alle donne e ai bambini, i più deboli. Le donne hanno tanti figli 8, 10, 11, qualcuna addirittura 14, sembra di tornare tra le famiglie contadine dell’Italia degli inizi del secolo scorso, i figli sono la ricchezza della famiglia, e la pensione per i genitori, quando sopravvivono, i figli. In genere ci dicono, le donne, che 2, 3, 4, 5 figli sono andati, morti. Gli altri forse saranno il pane per la loro vecchiaia. Sorridono. Si muore di malaria nei compounds, in un giorno, o si muore di colera, l’aids viene dopo, ci sono gli antiretrovirali e gli affari delle case farmaceutiche che permettono agli ammalati di vivere di più, malaria e colera non fanno guadagnare tanto, la gente muore, maggiormente i bambini, quando si presentano i primi sintomi si aspetta, forse troppo, e quando ci si decide, all’ospedale c’è grande ressa. Ma i figli sono anche il simbolo della virilità dell’uomo e guai a dirgli di volerne di meno, la soluzione è semplice, vanno e prendono un’altra donna. Il matrimonio è un contratto. I genitori dello sposo vanno a casa della sposa e chiedono che il proprio figlio possa sposare la ragazza, offrono una coppa con dei soldi, o delle mucche, se l’affare è fatto la coppa resta a casa della sposa altrimenti torna indietro. Sin da giovani, in tutte le tribù, le donne sono preparate al matrimonio, all’obbedienza all’uomo, esiste quello innanzitutto.



Gli uomini sono uomini e bevono tanto, i figli imparano dai papà, o dagli zii, i bar nei compounds sono aperti dall’alba al tramonto, così che alle 9 del mattino c’è già gente ubriaca. Una bambina di poco più di due anni giocava con un coltellaccio a punta da 25 cm di lama, la suora ha prontamente avvisato la mamma, che accorsa le ha tolto il coltello e lo ha poggiato sul tavolo accanto…
Di tanto in tanto si scorgono alberi di papaia, ottima… Ma non la mangiano perché non sanno che è commestibile, nessuno glielo ha detto. Le suore insegnano loro a cucinare, in modo corretto e variegato, perché altrimenti mangiano solo nshima, pollo fritto, patate fritte e verdura, fritta. Con lo stesso olio.
Natura selvaggia e lussuriosa, animali liberi e belli, paesaggi mozzafiato.



Tanta acqua, ma senza elettricità, il governo non vuole portare l’elettricità nelle case perché ciò significherebbe “condonare” le costruzioni all’interno dei compounds che sono quasi tutte abusive, non c’è nemmeno l’acqua, in genere arriva un’ora al giorno.


Il contatore della luce è ricaricabile con una scheda, quando si scarica si resta senza, come da noi il telefono cellulare. Il copperbelt, la zona da cui si estrae la più grande quantità di rame al mondo, grandi auto, la benzina e il diesel costano quanto in Italia, lo stipendio medio di un impiegato statale è 800.000K, un euro vale 6.500K, fate voi i conti. Le case a Lusaka costano 1000$ for rent, in affitto, l’acquisto anche 300.000$ o di più, la gente vive nei compounds anche quando lavora perché non ce la fa a pagare l’affitto.



Come fare a mediare tutto questo con la nostra vita? Con il nostro benessere? Con i nostri sprechi? Con le nostre diete?
La colpa è dei colonizzatori? Dei politici? Della gente? Della tradizione? Della cultura? Del nord che schiaccia il sud?
I loro sorrisi e la nostra ottusità?
I nostri giudizi? Entrando in un’altra cultura bisogna togliersi i calzari, insegnava un proverbio, e camminare in punta di piedi!!!
Chi lo sa dire… siamo qua per capirlo… sulla lama di un coltello che carezza il cuore…





Francesco Casarola




Qualcuno che la sa lunga
mi spieghi questo mistero:
il cielo è di tutti gli occhi
di ogni occhio è il cielo intero.
È mio, quando lo guardo.
È del vecchio, del bambino,
del re, dell'ortolano,
del poeta, dello spazzino.
Non c'è povero tanto povero
che non ne sia il padrone.
Il coniglio spaurito
ne ha quanto il leone.
Il cielo è di tutti gli occhi,
ed ogni occhio, se vuole,
si prende la luna intera,
le stelle comete, il sole.
Ogni occhio si prende ogni cosa
e non manca mai niente:
chi guarda il cielo per ultimo
non lo trova meno splendente.
Spiegatemi voi dunque,
in prosa od in versetti,
perché il cielo è uno solo
e la terra è tutta a pezzetti.
Gianni Rodari


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