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sabato 14 agosto 2010

Il sorriso dell'Africa

Il sorriso dell'Africa


Dopo venti giorni in Zambia, viene spontaneo lasciare una testimonianza di ciò che s'è vissuto. Non mi sento nelle condizioni di poter dire cosa ho visto in Africa, perché in realtà ho visto solo una piccola fetta di questo continente così, di fatto, sconosciuto: dico di fatto perché io per primo mi sono reso conto che le cose che conoscevo, non rispecchiano del tutto la realtà che ho vissuto qui giorno dopo giorno.

Quando sono arrivato all'aeroporto di Lusaka, superato il momento iniziale che non mi ha permesso di vedere ciò che stavo guardando per via della forte emozione di essere dall'altra parte del mondo, ho iniziato a scorgere i colori, gli atteggiamenti e i suoni che Lusaka aveva da offrirmi. Giorno dopo giorno ho imparato ad aprire gli occhi, ho imparato ad ascoltare, ho imparato a comprendere quello che questa parte di Africa mi stava mostrando. In verità è stato solo ieri che guardando il cielo stellato ho capito e subito ... sul mio viso si è disegnato un sorriso amaro e ironico!
Voglio raccont
arvi la "mia" Africa attraverso quattro punti: Occhi, Piedi, Mani, Cuore. Se si ha in mente l'immagine dell'Uomo Vitruviano, disegnato da Leonardo Da Vinci, si può notare come queste parti anatomiche siano disposte come i quattro punti cardinali: Nord (Occhi), Sud (Piedi), Est e Ovest (Mani). A ben vedere, l'uomo di Leonardo è nella stessa posizione di un altro uomo, ben più grande, venuto sulla terra molti anni prima del genio toscano: Gesù Cristo.

Non mi soffermo molto su questa figura cardine della vita religiosa e spirituale di molti cristiani, ma mi soffermo su un primo aspetto che ci tengo a sottolineare: il parallellismo tra Gesù Cristo, punto di riferimento religioso nella vita di un credente che vuole orientarsi quando si trova lontano dalla morale cristiana, e i 4 punti cardinali, punto di riferimento per chi vuole orientarsi lontano da casa. Per molti questo aspetto può sembrare banale, ma è proprio qui la prima ironia. Ho notato, guardando il cielo stellato, che chi vuole orientarsi utilizzando le costellazioni del firmamento, nell'emisfero settentrionale, ha come punto di riferimento la Stella Polare - nella costellazione dell'Orsa Minore - che indica esattamente il Nord; qui, nell'emisfero meridionale, il punto di riferimento è ... la Croce del Sud! Sembrerebbe quasi che da questa parte del mondo - che di fatto è l'emisfero più povero tra i due - se si vuole cercare una via da seguire, non c'è altra scelta che affidarsi alla Croce, che resta eterna nel cielo come a voler sottolineare la sofferenza che chi nasce qui è condannato a vivere fino alla fine dei propri giorni.
Una volta realizzato questo pensiero, nella mia mente sono cominciati ad affiorare dei flash di quello che avevo visto e, nel segno di quella Croce, tutto è andato al proprio posto come le tessere di un puzzle: ho finalmente capito il perché di tutto ciò che naturalmente ho vissuto e fatto senza rendermi realmente conto di ciò che stessi facendo.

Occhi
La prima cosa che ho notato, andando in giro per i compound di Lusaka con le suore del DMI Order (acronimo inglese che sta per Figlie di Maria Immacolata), sono stati gli sguardi di grandi e piccoli, di uomini e donne, indistintamente. Non erano sguardi sorridenti, come si vede in qualche pubblicità progresso, o sguardi tristi per fame
e malattia che ci ha mostrato per anni il telegiornale: erano sguardi perplessi, sguardi di timore, sguardi che in un modo o nell'altro non mi lasciavano mai finché non uscivo dal compound. In quel momento mi sono chiesto: "mio Dio...è così che guardo un nero che vende qualcosa sulle spiagge italiane? È così che guardo gli zingari che trovo al semaforo andando a Bari?". Ad aumentare il mio senso di soggezione erano anche i silenzi che si creavano al passaggio di noi tre, bianchi, in una strada polverosa di un compound gremito di zambiani, interrotti da qualcuno - grande o piccolo - che, indicandoci, gridava "Muzungu!!!" - in Nianja, "Uomo bianco!". Quello che mi aspettavo, mentre ero ancora in Italia, erano bambini che correvano per le strade, sorridenti e spensierati: invece ho trovato solo bambini che al mio passaggio scappavano a nascondersi dietro qualsiasi cosa trovassero, urlando e piangendo!

Piedi
In verità, più mi trovavo di fronte a questi episodi e più mi fermavo a pensare che c'era qualcosa di più nell'Africa che in questi anni avevo idealizzato. Girando per le strade di Lusaka ho avvertito un'altra sensazione che accompagna chi viene qui per la prima volta: la contraddizione. In effetti, dopo una giornata nel compound, osservare i giardini ampi e rigogliosi delle case di persone importanti della compagine zambiana mi dava un senso di fastidio: mi sentivo fuori luogo. Osservare zampilli che dispensano generosamente acqua per il verde di quelle ville stona parecchio con quello che le povere genti che vivono, in tutti i sensi, ai margini della società: acqua razionata per un'ora al giorno attraverso due o tre fontanelle per una popolazione media di 30 o 40 mila persone! Questo il motivo che spinge i bambini a veri e propri esodi alle prime luci dell'alba. A que
sti si unisce la comunità intera che, per svariati motivi (da quelli lavorativi al bisogno di bere birra – l'alcolismo è la piaga più grossa insieme all'analfabetismo!), si muove per le strade per raggiungere mete spesso lontane kilometri; il tutto rigorosamente a piedi: solo pochi eletti possono permettersi un'automobile, anche perché – altro caso strano – la benzina costa esattamente quanto in Italia! Osservando quei piedi che macinano in un giorno la strada che io percorro in una settimana, mi sono accorto di un secondo aspetto altrettanto ironico: in Africa, le persone hanno i piedi bianchi! La parte anatomica che permette loro di andare dove vogliono, ha il colore degli uomini che per secoli li hanno schiavizzati ... il bianco è dato dalla polvere che regna sovrana – insieme al tanfo e all'immondizia – nei compound.

Mani
Tuttavia l'Africa (nello specifico lo Zambia) non è solo questo. Stando qui ho conosciuto tantissime persone, per lo più donne, che all'unisono lanciavano un unico messaggio proveniente da vari compound: l'Africa è viva e vuole uscire dal pantano che per anni ha intrappolato questa gente impedendo loro di crescere! L'analfabetismo è ancora un problema serio da queste parti, ma la voglia di fare non ha bisogno di cultura. In questo modo le suore del D
MI hanno creato dei gruppi di donne che, con un proprio "business", risparmiano del denaro per permettere a se stesse e alla propria famiglia di avere dello shima (il piatto tipico africano, fatto con farina di mais e acqua) e poter assicurare ai propri figli almeno l'istruzione base. Le mani diventano la chiave per la salvezza di queste genti: le mani delle donne che creano manufatti per poterli poi vendere e le mani delle suore del DMI (nel caso specifico) e dei volontari che contribuiscono alla crescita di questo splendido continente, ma – così come ho detto a un gruppo di bambini durante uno dei nostri incontri – non "Italia e India PER l'Africa, ma Italia e India CON l'Africa", perché se non si lavora insieme è quasi impossibile raggiungere risultati concreti. In verità tutte le persone che ho incontrato, che hanno un'umiltà (che le persone del mio mondo possono solo ipotizzare) e un cuore davvero grande, sono concordi nell'ammettere che è questa la strada giusta, perché l'Africa è vero che vuole risorgere dalle proprie ceneri, ma a modo proprio, non perdendo di vista le proprie radici e la propria cultura: in poche parole, non alienando la propria identità!

Cuore
Questo aspetto del popolo africano, che è ben diverso da ciò che pensavo io (un'Africa disperata che vive e muore ai margini delle strade quasi con la rassegnazione di chi sa che non c'è altra soluzione) mi ha fatto riflettere molto. Durante il mio soggiorno in Zambia ho potuto vivere un'esperienza che pochi hanno potuto vivere: ho conosciuto Grace. L'incontro con lei mi ha stretto un nodo in gola e ha spazzato via in un solo colpo tutta la timidezza e il timore che avevo di vivere in una realtà che non mi apparteneva. Grace è una ragazza di
ciassettenne che la mia famiglia ha deciso di adottare a distanza una decina di anni fa. In questi anni gli unici contatti con lei erano delle lettere che una volta l'anno ci scrivevamo per poter conoscere la sua situazione scolastica, di salute e di vita a "City of Hope", il centro che Suor Maria Mazzone ha costruito a Lusaka per ospitare le bambine che sono nelle strade e dar loro un futuro migliore. Per questo motivo la sentivo come una persona di fatto distante, che non faceva parte del mio mondo. Invece, quando l'ho vista li davanti a me, l'ho vista che sorrideva imbarazzata, ho realizzato che non era più una persona lontana: era una ragazzina come ce ne sono tante, come ero abituato a vedere in Italia ... niente di più. Mi sono sentito subito a mio agio, non ero più un semplice "muzungu", ero parte dell'Africa! A confermare questa sensazione è stata proprio Grace, la quale, alle suore dell'orfanotrofio di Madre Teresa che osservavano perplesse quel dialogo prolungato tra me e lei, diceva "tranquille: è mio fratello!". Questo è il potere dell'Africa: partire da essere "muzungu" fino a diventare "fratello". Il passo è breve, ma bisogna scendere da quel piedistallo immaginario che noi settentrionali pensiamo di avere sotto i nostri piedi e iniziare a vivere alla pari. Questo è quello che ho fatto: ho imparato a vivere CON loro, a parlare CON loro, a sentirmi parte della loro cultura: mi hanno insegnato molto su come ci si comporta, su come si ringrazia il Signore ogni giorno per ciò che si ha (per riprendere quanto detto prima riguardo alla Croce), mi hanno insegnato anche la loro lingua – un minimo in realtà – che mi è servito ad integrarmi ancor di più in questa società straordinaria. Ho osservato meglio e ho visto gli sguardi perplessi o di timore diventare sguardi sorridenti quando chiedevo a un bambino che restava lontano "Wuly bwanji?", che vuol dire "Come stai?" (è il loro modo di salutarsi); quasi incredulo mi rispondeva "Bueno!". Quindi gli dicevo "Buela...", che vuol dire "Vieni...", tendendogli la mano: ed ecco che anziché scappare, si avvicinava timido verso di me tendendomi la mano a sua volta fino a stringermela senza timore.

Ecco che ho volto ancora una volta lo sguardo al cielo stellato africano e di f
ianco alla Croce del Sud c'era la luna: che mi crediate o no, sorrideva anche lei! Ho chiuso gli occhi, ho disteso il volto e ho sorriso di nuovo...questa volta era un sorriso disteso, un sorriso di chi è cresciuto tanto e che ha imparato ancora di più e ho pensato tra me: "Anche il cielo dell'Africa mi sorride, nonostante una croce impressa nei propri occhi, nei propri piedi martoriati dalle lunghe camminate, nelle proprie mani lavoratrici, nel proprio cuore che, nonostante le moltitudini di sofferenze patite, ancora dona amore a chiunque venga qui a scoprire un continente, in realtà, ancora tutto da scoprire!".


Francesco Campanale