Visualizzazioni totali

martedì 17 agosto 2010

INCONTRI

Una promessa mantenuta a me stesso prima che agli altri: venire in Zambia per toccare con mano. Per poter acquisire il diritto di parola, per poter proporre e realizzare soluzioni insieme a tutti, senza polemiche, ognuno per la sua parte.
E toccare con mano vuol dire immergersi per 20 giorni in una realtà da cui a prima vista vorresti fuggire, anche perché condizionato dal disincanto che il proprio carattere e le proprie esperienze passate comportano. A 20 anni si è più liberi , più immediati; a 50 (e più…), se si è ancora curiosi, vuoi conoscere tutti (o quasi) gli aspetti del problema e talvolta pensi che non ne valga la pena.
E per conoscere bisogna incontrare gente, stringere mani nelle maniere più disparate, dire tante volte “nice to meet you”. La mia curiosità, facilitata dalla presenza di anfitrioni di prim’ordine (come il Nunzio, come Suor Maria Mazzone, come gli stessi ragazzi, come la padronanza della lingua, primo anfitrione della conoscenza,) mi ha permesso di essere parte di tantissimi incontri. Non potrei ripercorrerli tutti, dovrei scriverne un libro. Ho poco tempo per farlo: ma un indice posso anticiparlo.
  • Incontri di disperazione. La disperazione rassegnata e silenziosa dei malati, obbligati in ospedali ridotti a letamai, essi stessi ridotti a cumulo di patologie infettive dove il substrato è l’aids e tutto il resto viene dopo. Malati disidratati cui viene lesinata una infusione endovenosa, pur non potendo ingoiare nulla per la candidosi che gli brucia la gola. Malati chirurgici trattati da chirurghi improvvisati che conoscono solo la demolizione e non si pongono nemmeno l’ipotesi mentale di una chirurgia ricostruttiva. E i bambini malati. Quelli occhi che con l’avanzare della malattia si dilatano sempre di più, fino a spegnersi. E i bambini sani costretti a giocare nel letto della loro mamma malata accanto al letto di una povera donna in fin di vita per superinfezioni. La disperazione di sapere che un modo diverso di curare c’è e, soprattutto, che non tutto si giustifica con la mancanza di mezzi economici.
  • Incontri di rabbia. La rabbia di verificare come questa nazione ricca di tutto (terreno fertile, acqua in abbondanza, minerali, bellezze naturali incommensurabili, animali……), non sappia distribuire ai propri abitanti le sue ricchezze, che restano appannaggio di una classe dirigente corrotta e di compagnie straniere che la depredano con la complicità dei governanti. Incontro al Ministero delle Miniere (il più importante qui in Zambia): “quest’anno abbiamo raggiunto per congiunture internazionali il 50% in più di fatturato” (dati ufficiali, non sappiamo il nero!). “Bene - chiedo io – possibile che la marea umana dei compounds di Lusaka non se accorgerà?” Sorriso ironico o impotente del mio interlocutore. Ministero dell’Educazione: dati ufficiali con il 96% della frequenza scolastica: ma i compounds in cui andiamo ogni giorno pullulano di ragazzi che a quell’ora dovrebbero stare a scuola. Per non parlare delle aree rurali dove un ragazzo deve percorrere anche 10 Km a piedi per andare a scuola. Come la mettiamo? Rabbia che cresce…..
  • Incontri di gioia. La gioia di stare in mezzo a un popolo buono, che ti sorride senza aspettarsi una ricompensa, anzi spesso aspettando il peggio. La gioia dei bambini, che così bene hanno descritto i nostri ragazzi nel blog, dei bambini che si accontentano di poco per giocare ed essere felici, e dei giovani che, malgrado tutto, credono nelle proprie capacità e ti comunicano la gioia di aver raggiunto il traguardo di potersi iscriversi all’Università. La gioia di tanti operatori, religiosi e non, che al bene che fanno ci aggiungono un sorriso…..sempre. E la gioia del malato terminale che risponde al tuo sorriso sincero e alla tua mano calda con lo sguardo di chi scopre di essere ancora vivo e parte di una catena. E tu non vuoi staccarti più.
  • Incontri di speranza. Perché vale la pena far qualcosa per questa gente? Perché qualcosa sta cambiando. Te ne accorgi incontrando le facce sorridenti e determinate dei giovani redattori di un giornale indipendente, che conduce la battaglia per i diritti civili fondamentali (nutrizione, educazione, salute, giustizia, libertà di espressione), contro la corruzione, per il reale compimento del processo democratico, così difficile da queste parti. E la conferma di questo cambiamento te la confermano i nostri referenti sul campo (il Nunzio e suor Maria) che da punti d’osservazione differenti valutano gli effetti nel tempo della diffusione dell’istruzione nei giovani, del senso di responsabilità delle donne (i maschi purtroppo sono assenti!) nel gestire la famiglia. La speranza ti viene dagli effetti dell’indefessa opera del volontariato, soprattutto religioso, che incentiva i genitori (quelli che ci sono!) all’istruzione dei propri figli. Così come ci dà speranza la testimonianza della grande voglia di emancipazione di questa gente: una mama (i papà non esistono!) del compound che chiede di ritornare a studiare almeno l’Inglese per controllare il lavoro scolastico dei figli; gruppi di famiglie che nelle zone più sperdute del paese organizza dal basso “community schools”. E torniamo da dove siamo partiti: gli ospedali. La speranza ci viene dal ritrovare ospedali puliti come quello di Chirundu (dove peraltro lavora come chirurgo un ex-liceale di Corato, il collega Fabrizio Tarricone!......) perché gestito da suore italiane, o nel verificare il buon funzionamento e la pulizia del laboratorio dell’ospedale di Mazabuka (per il resto ad un livello vergognoso di pulizia) perché donato da una associazione volontaria italiana, con l’obbligo contrattuale di rendicontare con continuità il livello di efficienza raggiunto. E per finire Claudia, la grande Claudia: una scricciolo di donna con gli attributi, una collega meravigliosa che a Chikuni, nel cuore della foresta e al centro di un agglomerato di villaggi collegati da mulattiere, ha messo su in 5 anni un sistema sanitario con standard elevatissimi. Ospedale ampio, pulito, ben congegnato, con aree di isolamento e sub isolamento; reparto e ambulatorio per pazienti AIDS aperto al territorio e con controllo casa per casa delle condizioni dei soggetti affetti; tutto informatizzato; tutto con poche infermiere e tanti volontari. Eppoi i programmi di educazione sanitaria irradiati da una radio locale (compresi quelli per bambini condotti da bambini, in lingua tonga!). Tutto da sola.
Quanti incontri qui in Zambia! Ora sto tornando e vorrei incontrare anche la gente della mia terra per fare qualcosa. Non grandi cose, sia ben chiaro. Ma un trattore si può comprare per rendere autonoma una comunità che ha 7 ettari di terra da poter coltivare; un proiettore si può regalare a quella stessa comunità che intrattenere i ragazzi e i bambini dell’oratorio in programmi educativi (ho provato io con i più grandi e vi posso assicurare un interesse quasi spasmodico); alcuni strumenti chirurgici funzionati ma ormai non più usati perché obsoleti, si possono inviare in quegli ospedali dove, sulla base di ciò che ho visto, potrebbero essere utili come il pane; qualche ragazzo/a recuperato/a alla vita dai nostri missionari può essere adottato/a a distanza (come già fatto con successo) affidando il controllo del buon esito dell’iniziativa a quelle stesse persone che l’hanno salvato/a dalla perdizione; un qualche giovane collega di buona volontà e alla ricerca di esperienza vera può per un po’ andare a far compagnia alla povera Claudia; un qualche modo istituzionale (e non) si può trovare per far venire in Italia un collega zambiano per insegnargli a fare ciò che lui sogna da anni di fare; ……….. Insomma cose semplici da fare, incontrandoci.
Lusaka 16 agosto 2010
Onofrio Caputi Iambrenghi