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sabato 4 luglio 2009

La Collaborazione con il Centro Servizio Volontariato San Nicola di Bari dal 2002



Il Liceo “Tedone” ha avviato una efficace collaborazione con il Centro Servizi di Volontariato San Nicola di Bari ( http://www.csvbari.com/ ).
Numerose sono le attività programmate e portate avanti nel corso degli anni.
Grazie alla totale disponibilità della Presidente dott.ssa Rosa Franco, dell'ing. Giovanni Montanaro coordinatore dell’Area Formazione e di tutta l’equipe del Centro è stato istituito presso la sede del Liceo, uno sportello del volontariato a favore degli alunni, che hanno potuto utilizzare informazioni, ricevere consigli, programmare iniziative.
Per i docenti sono stati istituiti corsi di formazione sui temi specifici della collaborazione con le istituzioni, sui temi educativi e sulla dimensione europea della formazione.
Il Liceo ha partecipato inoltre, nella persona del dirigente scolastico, al FOCUS Group sulla educazione nella famiglia e nelle istituzioni (novembre 2007).
Numerosi sono stati gli incontri promossi nel Liceo in collaborazione con il Centro per la presentazione al pubblico delle iniziative di volontariato con relazioni della presidente del Centro e di esponenti dal mondo della scuola.
Nel maggio del 2009 è stato realizzato un convegno a Monopoli sul tema “Volontariato e Scuola” presieduto dalla dott.sa Rosa Franco e moderato dall’ing. Giovanni Montanaro, nell’ambito del quale hanno relazionato il dott. Giovanni Lacoppola, provveditore agli studi di Bari e il dirigente scolastico del Liceo Scientifico “Tedone” prof. Biagio Pellegrini.
Anche nel novembre 2008 il Liceo “Tedone” è stato presente alla Fiera del Levante di Bari per la Settimana del Volontariato con la presentazione del progetto “Un mondo di bene”.
Uguale presenza alle iniziative del Centro Servizi è stata assicurata dal Liceo nelle manifestazioni promosse a Bari in piazza Ferrarese per le istituzioni che offrono servizi di volontariato.

Riportiamo il testo della seduta "I luoghi dell'educazione", organizzato dal CSV San Nicola.



I luoghi dell' educazione 
22.:11.2008 • Sala Leccio
Partecipano; Silvio Cattarina, Presidente Cooperativa Sociale "L'imprevisto" di Pesaro; Biagio Peflegrini, Dirigente Scolastico Liceo Scientifico "Orazio Tedone" di Ruvo di Puglia; Don Geremia Acri, Direttore Ufficio "Migrantes" Diocesi di Andria.
Modera: Guido Boldrin, Componente Comitato Scientifico CSV "San Nicola",

Guido Boldrin Con questo primo incontro pomeridiano, a cui gli organizzatori hanno voluto dare il titolo I luoghi dell'educazione, avremo l'opportunità di ascoltare chi tutti i giorni è impegnato in questo difficile versante. Anche se forse «difficile» non è la parola giusta. L'educazione, infatti, è un campo impegnativo ma anche affascinante, perché è la cosa più entusiasmante che possa essere offerta a una persona: è la possibilità di trasmettere agli altri, all'altro che si ha di fronte, le verità che si sono scoperte nel tempo. Pertanto, introducendo questo incontro e i nostri ospiti, mi preme affermare che l'educazione è un investimento per il bene della persona e per il bene della società, perché occorre credere nel suo valore e nella sua verità, a partire dal valore che ha la libertà dell' altro che si ha di fronte.
Vi è, purtroppo, un grande fraintendimento diffuso riguardo l'educazione: spesso, infatti, la si identifica con l'istruzione o con la formazione. Non che queste cose non vadano insieme, ma identificarle non permette di comprendere in modo esaustivo che cos' è l'educazione. La maggior parte di noi crede, ad esempio, che l'educazione riguardi soltanto un periodo della vita, laddove, invece, abbiamo continuamente bisogno di essere educati. Non si può pensare che 1'educazione riguardi solo i bambini che frequentano le scuole elementari o al massimo gli studenti universitari, in modo tale da essere pronti ad affrontare tutto. Nella vita, infatti, spesso i conti non tornano: questo lo si capisce bene quando ci capita di avere a che fare con una persona che improvvisamente ha una difficoltà, che fa una scelta sbagliata, magari una persona che si è sempre comportata bene e poi comincia a frequentare la strada o a drogarsi, oppure una persona che ha problemi con i propri genitori, con gli amici, con la conseguenza di gravi disagi psicologici, forme di depressione, ecc,
Ogni uomo è un capitale, anche chi porta con sé dei limiti. Credo infatti - lo vedo attraverso la mia esperienza e attraverso l'esperienza che mi testimoniano i molti amici che operano in questo campo, che si occupano cioè di servizi alla persona e hanno a che fare con il disagio - che anche un uomo pieno di limiti porti con sé dei pregi, delle risorse, delle potenzialità; il limite, che pure esiste e che è in ciascuno di noi, e quindi a maggior ragione in una persona che ha delle difficoltà, non è una barriera, non è qualcosa che blocca o impedisce la possibilità di vivere o di tornare a vivere.
Ciò di cui più abbiamo bisogno è trovare dinanzi a noi dei maestri: abbiamo bisogno, cioè, di trovare qualcuno di cui possiamo diventare discepoli, qualcuno che possiamo guardare, da cui possiamo non soltanto prendere le informazioni che ci servono ma sulla cui sapienza possiamo contare, qualcuno capace di comunicarci quello che per lui vale. Quindi abbiamo bisogno di un maestro che ci educhi. Ci educhi a che cosa? A vivere. A prendere in considerazione tutto della nostra vita, a stimare il valore di ciascuno, prima di tutto il nostro valore, a riconoscere l'importanza di affrontare tutte le sfide che la vita ci pone davanti. Molte volte, ad esempio, ho visto dei ragazzi rifiorire per il gusto di aver imparato un lavoro, di saperlo fare e di poter dire la sera: «Questo l'ho fatto io. E qualcuno mi ha insegnato a farlo».
Allora educare è proprio guidare, insegnare all' altro a non sentirsi confinato nella somma dei propri limiti. Se l'educazione è così intesa -lo ascolteremo dalle testimonianze dei nostri ospiti - credo che chiunque sia educabile, anche chi ha perso tutta la stima di sé o chi pensa che nulla sia più
possibile per lui; anche quella persona, infatti, se trova qualcuno che gli dice: «Tu vali, tu ci sei, tu puoi fare, e io sono con te, è difficile la vita ma io sono con te e ti aiuto se tu vuoi», può ripartire.
Questo approccio corregge un altro errore molto diffuso: spesso consideriamo i destinatari dell' educazione dei soggetti passivi, magari si ammette che debbano fare delle scelte, ma in realtà qualcun altro ha già scelto per loro. Se invece uno sì ritrova investito dì uno sguardo diverso e soprattutto si sente stimato per il valore che ha, indipendentemente dalle cose che sa fare o dai limiti che si porta addosso, egli stesso diviene protagonista del suo bene e possibilità di bene per altri.
Spero e credo che ciò che oggi ci diranno i nostri amici sarà la testimonianza di questo: perché i primi a doversi rendere conto di aver bisogno di un' educazione continua sono proprio i maestri. A questo proposito mi ha sempre colpito la frase che Solzenicyn in Divisione cancro fa dire a uno dei protagonisti: «L'imbecille vuole insegnare, l'uomo intelligente vuole imparare». Questa è la dimensione di chi capisce che continuamente la vita è una sfida ardua ma nello stesso tempo capisce anche che da solo non ce la fa, che ha bisogno lui stesso di qualcuno che lo aiuti, soprattutto se vuole aiutare qualcun altro.
Ecco, secondo me, i presupposti per creare «luoghi dell' educazione». Per Silvio Cattarina il luogo così inteso è la cooperativa "Imprevisto", nata a Pesaro. Da più di 20 anni aiuta e sostiene ragazzi che hanno avuto problemi con la dipendenza da droghe; abbiamo invitato anche il Professor Biagio Pellegrini, Preside del Liceo Scientifico "Orazio Tedone" di Ruvo di Puglia (Bari), che per 18 anni ha insegnato in cattedra e da oltre 20 anni ha la responsabilità della conduzione di un luogo impegnativo come la scuola, una fucina di giovani che cercano di entrare nella vita e affrontarla. Poi ascolteremo la testimonianza di don Geremia Acri, direttore dell'Ufficio "Migrantes" Diocesi di Andria.
Cedo innanzi tutto la parola a Silvio chiedendogli di raccontarci la sua esperienza,

Silvio Cattarina Grazie. Fin da molto giovane ho conosciuto dei ragazzi tossicodipendenti e ciò che più mi colpiva e che allo stesso tempo mi faceva più arrabbiare era l'espressione che usavano per definire la loro condizione. Usavano un verbo - capirete subito anche voi che è tanto sbagliato quanto drammatico: «Mi faccio». Chi invece non fa uso di droghe, utilizza altre parole come «assume», «prende», «si droga», ecc. Quell' espressione fa capire bene la drammaticità e l' assurdità di quel modo di dire e di fate. Perché non è possibile farsi da soli. n bello è avere altri che «ti fanno»: che ti accolgono, che ti aiutano, che ti affascinano. In tutti i fenomeni - dico quelli più evidenti o almeno quelli più socialmente rilevanti - quali la devianza, la tossicodipendenza, il bullismo, l' anoressia e altri, il tratto comune è un uso che i ragazzi fanno del loro corpo. In tutti questi casi, infatti, si tratta di un uso assurdo e spietato del corpo, come se il corpo fosse l'unica cosa che un ragazzo possiede e quindi l'unica arma che ha a disposizione: brandiscono il loro corpo come fosse un' arma. Mi ha sempre colpito la carica di forza, di virulenza e di aggressività che c'è in un tale uso. Per questo più della droga stessa mi sorprende ciò che sta dietro: il risentimento, la ribellione, la delusione, la rabbia, il lasciarsi andare di questi ragazzi. Sembra che dicano: «Mi faccio io, tu non mi hai fatto ricco di umanità, di bene, e allora ci penso io, adesso ti faccio vedere io». Ognuno sa che si viene al mondo e si vive in forza di una promessa, di un' attesa. Se questa promessa e quest' attesa non vengono esaudite, pian piano molti si arrabbiano, si ribellano.
È da questo e per questo che ho cominciato a interessarmi dei tossico dipendenti, a darmi da fare per aprire le prime comunità terapeutiche, facendo tanti tentativi. All'inizio abbiamo commesso molti errori perché provavamo a far le cose partendo dai libri, da quello che dicevano gli altri o da quello che ho incontrato io, non solo la mia stessa persona ma tutto quello ho incontrato.
In definitiva, non avevo il progetto di aiutare i tossicodipendenti e non volevo mettere su comunità terapeutiche: desideravo essere un uomo, desideravo essere una persona e un uomo vero. E oggi desidero vedere, nonostante tutte le cose che si è potuto fare finora, che cosa farà il Mistero, che cosa farà Dio nella mia vita e per la mia vita. Ciò che è davvero interessante per me è questo, non tutto il resto.

Guido Boldrin Mi sembra che Silvio Cattarina abbia cominciato a delineare cosa sono e come si costruiscono i luoghi dell'educazione. Voglio trattenere soprattutto una cosa che ha espresso con grande forza: dobbiamo essere all'altezza del grido che c'è dentro il nostro cuore. Siamo chiamati a rispondere alla persona che abbiamo di fronte e ciò che conta è che io e chi ho di fronte capiamo che siamo chiamati con il nostro nome e capiamo soprattutto che c'è qualcuno che ci guarda e che sarà sempre con noi.
Adesso cedo la parola al Professor Biagio Pellegrini che sicuramente nella sua esperienza - ormai quasi 40 anni - chissà quante ne ha viste! Chissà quanti giovani con quante domande ha incontrato!

Biagio Pellegrini La scuola come luogo di educazione deve oggi affrontare numerosi problemi, legati alla difficoltà del suo compito, e rispondere a molti interrogativi che talvolta rimangono senza risposta. In questo contesto di una tavola rotonda sul volontariato preferisco fermare l'attenzione mia e vostra su alcune esperienze - una in particolare - che sono state portate a termine nella nostra scuola. Credo, infatti, che possa essere questo il motivo per cui la nostra scuola stasera è presente a questo incontro e il motivo per cui io sono stato invitato. Non farò, dunque, un discorso orientato ad istanze teoriche e di principi educativi, ma parlerò di esperienze concrete vissute all'interno del Liceo Scientifico "Orazio Tedone".
Voglio parlare innanzitutto di un'esperienza di volontariato scolastico estivo che la nostra scuola promuove da due anni, e che ha come luogo di azione l'Africa. Nello scorso anno dieci alunni hanno partecipato nello Zambia ad attività assistenziali di volontariato attivo per un mese intero, quest'anno il numero dei giovani impegnati nello stesso progetto è stato di quattordici. Attraverso questa esperienza si è voluto rimarcare la continuità educativa tra l' opera formativa della scuola (veicolata attraverso l'insegnamento disciplinare) e la formazione dell'uomo e del cittadino e sottolineare ancora che la scuola può essere un autentico luogo di educazione, ma non un'educazione fatta solo di norme e di suggerimenti, bensì caratterizzata soprattutto da impegno concreto. Molte volte si parla di giovani distratti, di bullismo; noi allora ci siamo posti questo problema: come è possibile dare un senso, delle motivazioni a questi ragazzi?
Cercherò di puntare l'obiettivo sulla scuola perché credo che oggi ci siano molti fraintendimenti sulla sua natura e funzione. Spesso viene considerata come «la scuola delle emergenze», incaricata per delega di gestire una serie di problemi sociali, mentre gli adulti sono assenti o si tirano fuori da incombenze di difficile soluzione.
Partiamo da questo interrogativo. Che tipo di scuola immaginiamo oggi? Nel rispondere a questa domanda, vorrei che riflettessimo, in maniera anche un po' scherzosa, su alcuni cliché molto spesso applicati alla funzione della scuola ed al rapporto alunno-scuola-docente. Ci sono diverse tipologie comportamentali di alunni cui si vorrebbe far corrispondere una relazione scolastica di tipo riparatorio:
1. l'alunno-problema (molte volte è così che viene considerato l'alunno) cui corrisponde la scuola-soluzione;
2. l'alunno-malato, il docente-infermiere;
3.l'alunno-figlio, abbandonato da tutti, anche dai genitori, la scuola risponde con il docente-genitore;
4.l'aIunno-infantile, il docente-baby sitter;
5.l'alunno-«fraticello» (sempre da solo, isolato, che non socializza con nessuno), il docente-eremita;
6. l'alunno-criminale (qualche volta se ne parla), il docente-mastino, perché deve correggerlo;
7. l'alunno-rifiuto scolastico (quante volte lo consideriamo in questa maniera), il docente (e la scuola-rifugio;
8. l'alunno-triste, la scuola-àlpitur;
9. l'alunno-buon selvaggio, il docente e la scuola-missionari;
l0. l'alunno-mistero, indecifrabile, incomprensibile, e il docente (la scuola) mago, per decodificare il mistero;
11.l'alunno-carogna (può capitare anche questo"), il docente-«Fantozzi»;
12.l'alunno-bene mobile, la scuola consegnataria di questo bene mobile;
13.l'alunno-disastro (si vedono spesso a scuola porte rotte, banchi spaccati), il docente (e la scuola)-113;
14. l'alunno-terribile, la scuola-«Valium»;
15.1'aIunno-ricco di talenti; cosa ne può fare la scuola? Diventa manager di questi talenti;
16. L'alunno a rischio sociale, la scuola diventa il suo parafulmine.
La scuola, così percepita, è la scuola delle emergenze. La dimostrazione che spesso si ragiona in questi termini è che alla scuola si pretende di affidare una serie di funzioni: educazione alla salute, educazione stradale, educazione sessuale, educazione alla legalità, alla cittadinanza europea, all'in-
terculturalità, alla solidarietà, e così via.
Ma allora dove è il problema? La scuola rischia di essere funzionale alle istanze che emergono nei vari momenti di crisi della società e diventa destinataria di delega per delicatissime funzioni sociali, esorbitanti rispetto alle sue reali possibilità, specie in assenza di sintonie e sincronie. Abbastanza spesso si pensa alla scuola come al momento terapeutico di tutti i mali della società. Ma così si dà il via a una progressiva delega di compiti educativi da parte della famiglia, delle istituzioni, dei mezzi di comunicazione e dell'extra-scuola, creando una disarticolazione del tessuto sociale e formativo che
sostiene i soggetti in crescita. Tutto questo ha prodotto nei giovani un'indifferenza rispetto ai valori e alle motivazioni che animano le loro scelte.
L'indifferenza e la mancanza di prospettive possono favorire la rassegnazione e confermare la relatività delle opzioni, accettate supinamente dai giovani. In questo contesto la scuola diventa impotente rispetto ai risultati attesi. Perciò molto spesso ci poniamo questo interrogativo: cosa possiamo fare quando ci mancano determinate collaborazioni? È chiaro che il primo punto di riferimento è la famiglia, che tuttavia non sempre è presente ed attenta a dialogare con la scuola. Il più delle volte la scuola viene lasciata sola ad affrontare tante emergenze; le viene chiesto di farsi carico di molteplici e diverse responsabilità.
Punti di grande debolezza, quindi, nell' azione educativa sono la scarsa presenza degli adulti e la scarsa collaborazione delle diverse agenzie formative. Tali mancanze rischiano di tradursi nel disorientamento o nell' abbandono dei ragazzi, proprio quando le loro decisioni possono essere cariche di conseguenze e soprattutto quando diventa difficile e delicato scegliere.
Voglio invitarvi a riflettere su di un caso ricorrente nelle difficoltà affrontate a scuola, così da rendere più concreto quanto sto dicendo. Capita a volte di dover registrare alcune valutazioni negative dei ragazzi nel percorso di apprendimento (parliamo di ragazzi dai 15 ai 19 anni). Di fronte all'insuccesso scolastico emerge abbastanza spesso una forte fragilità del ragazzo, che a volte si traduce in disistima e desiderio di fuga. Da qui scaturisce la decisione di cambiare scuola: basta una insufficienza in matematica al primo anno ed alla prima verifica per sollecitare la richiesta di cambiare istituto ed indirizzo di studi. Si cerca allora di discuterne sia con il ragazzo che con i genitori, evidenziando in maniera corretta gli eventuali vantaggi del cambio ma anche i fischi legati alla scelta; dall' analisi attenta dei pro e dei contro si convincono entrambi della follia di questa opzione, che equivale all'affermazione di mancanza di volontà e determinazione nell' affrontare i problemi e di una fuga verso territori non conosciuti; tuttavia alla fine quasi sempre prevale il desiderio dell' alunno di cambiare scuola e i genitori assecondano la sua scelta, lasciandogli letteralmente tutta la responsabilità della decisione, per non interferire nella soddisfazione della richiesta.
E qui entrano direttamente in campo i reali contorni della responsabilità genitoriale, molto spesso considerata esclusa all'interno del perimetro fisico della scuola. A questo proposito recenti sentenze della Cassazione (Cass. Sez. IIT, 21.9.2000, n. 12501; 26.11.1998, n. 11984) hanno chiarito i limiti della responsabilità della scuola. Il principio della delega porterebbe ad affermare con convinzione, da parte degli utenti, che la scuola deve occuparsi di tutto all'interno delle proprie mura e talvolta anche all'esterno. E infatti molto spesso abbiamo l'impressione che l'iscrizione a scuola rappresenti una consegna dell'alunno all'istituzione che deve prenderlo in carico sollevando il genitore da ogni coinvolgimento nella vita scolastica. Quante convocazioni di genitori a scuola producono l'effetto di favorire l'incontro ed affrontare i problemi educativi e culturali? Le sentenze della Cassazione
affermano con chiarezza che la responsabilità della vigilanza, che è della scuola quando il minore viene affidato nel periodo di permanenza negli ambienti scolastici, non solleva la famiglia dalla responsabilità educativa: il genitore è comunque responsabile dell' educazione del figlio, responsabile anche dei comportamenti che si pongono in atto durante l'orario scolastico, in quanto diretto riflesso dell'educazione impartita tra le mura domestiche.
L'ultima sigla coniata ed introdotta nel vocabolario scolastico è PEC. Chi è nel mondo della scuola conosce molto bene questo recente acronimo; ne diamo una definizione per chi invece non è addetto ai lavori: PEC sta per Patto Educativo di Corresponsabilità. La scuola stabilisce e sottoscrive appunto con i genitori il PEC, un contratto vero e proprio il cui obiettivo è di impegnare le famiglie, fin dal momento dell'iscrizione, a condividere con la scuola i nuclei fondanti dell' azione educativa.
La scuola dell' autonomia, infatti, può svolgere efficacemente la sua azione educativa soltanto se è in grado di instaurare una sinergia virtuosa, oltre che con il territorio, tra i soggetti che compongono la comunità scolastica ed interagiscono con essa. Titolare dell' azione educativa è senz' altro la famiglia (lo afferma chiaramente anche la Costituzione) e dunque su questo c'è poco da discutere; la scuola da parte sua elabora la sua offerta formativa, il POF, e la presenta al territorio, in sostanza elabora ed esplicita il suo progetto educativo: la famiglia valuta l' offerta e se condivide il piano sotto scrive il PEC, un vero e proprio contratto che conferma la «corresponsabilità» nell' azione. li ragazzo è il soggetto e rimane il protagonista del progetto: la scuola funge da fattore di promozione, da catalizzatore, per favorire la crescita dell' alunno. Tutti insieme, quindi, scuola genitori ed alunni operano per la realizzazione di un progetto condiviso. Cosa accadrebbe se non ci fosse questa condivisione?
Messaggi contrastanti o semplicemente divergenti compromettono qualsiasi progetto di formazione. Le scelte non condivise producono disorientamenti nel soggetto in formazione. E poi, cosa ancora più grave, la mancanza di legittimazione reciproca crea destabilizzazione e assenza di
prospettive di crescita e di regole comportamentali. Le incomprensioni più gravi tra scuola e famiglia si producono quando non ci sono sintonie e condivisione di scelte formative. Quando per esempio la famiglia suggerisce al ragazzo di non dar retta alla scuola e di seguire solo i propri insegnamenti e
orientamenti si produce una grave frattura e una reciproca delegittimazione. Questa forma di contrasto e di dissociazione è bene espressa dall'immagine di onde sonore che si sovrappongono e non sono più in grado di dare gli stessi messaggi, anzi non danno nessun messaggio, quindi vi è confusione totale e disorientamento.
Ora vengo a illustrarvi l'esperienza di volontariato del Liceo "Orazio Tedone". Il progetto che ha permesso tale esperienza di volontariato attivo in Africa si chiama Un mondo di bene. Il simbolo del nostro progetto sono le mani che si stringono in segno di grande solidarietà. Quelle mani stanno a
sottolineare le motivazioni che hanno sostenuto i ragazzi in questa esperienza: «Siamo figli di una società che reputa noi giovani inerti di fronte ai grandi problemi, privi di ogni valore, trascinati dall' onda del relativismo, impegnati esclusivamente nell' organizzazione del sabato sera a base di alcol e stupefacenti». li progetto è servito invece a far emergere una diversa realtà: «La voglia di essere protagonisti nell' assistenza, di fare esperienza del sacrificio e lavoro umanitario, di rinuncia agli agi della nostra società per conoscere il vero volto della sofferenza e della fame sono le motivazioni che hanno spinto il gruppo ad impegnarsi nel progetto, sicuri che ci sarà un ritorno concreto per l'intera scuola e per tante famiglie». Credo che non ci sia bisogno di alcun commento, sono le frasi degli stessi ragazzi a chiarire le finalità dell'iniziativa: «L'intento di questo progetto è quello di motivarci, di spingerei oltre le mura della nostra stanza ed essere impegnati solo ad essere dono per l'altro. Questa esperienza non riguarderà soltanto noi partecipanti. Generalmente i giovani che fanno esperienza di volontariato quando tornano a casa si fanno essi stessi promotori di iniziative di solidarietà. Sarà trasmessa una nuova mentalità di giovane in giovane, nuove motivazioni per uscire dal torpore ed essere attivi cittadini del mondo».
L'esperienza in Africa, vissuta lì sul posto, ci ha fatto constatare un vero cambiamento nei giovani: sono diventati più responsabili e più ponderati nelle loro scelte, senza perdere la loro allegria. Sono diventati poi fermento per gli altri ragazzi, quando sono rientrati qui in Italia e sono venuti a testimoniare a scuola e negli altri luoghi che cosa ha rappresentato per loro questa esperienza.
I ragazzi del progetto Un mondo di bene sono tutti alunni del "Tedone" che nel periodo estivo hanno collaborato alla costruzione di una casa di accoglienza per le ragazze a rischio a Mazabuka e si sono impegnati in lavori di pitturazione, falegnameria e rifiniture. In sostanza hanno materialmente
contribuito alla realizzazione di questa casa con il loro lavoro e con il materiale portato dall'Italia in loco. Hanno anche partecipato ad attività a carattere sociale collaborando con la parrocchia di Mazabuka, guidati da don Maurizio Candini e da suor Maria Mazzone (una salesiana che è lì in Zam-
bia da venti anni), che sono i fautori del progetto di recupero di ragazzi a rischio. La giornata dei nostri giovani era così divisa: la mattina dedicata alla costruzione, il pomeriggio all'azione di volontariato, di assistenza nei compound, nei villaggi, soprattutto per i gruppi di bambini e giovani più emarginati.
Prima di mostrarvi il filmato girato dai ragazzi in Africa a commento della loro esperienza, mi piace concludere questa riflessione, con la frase di presentazione di questa tavola rotonda: «I luoghi dell'educazione educano a guardare la realtà con occhi positivi e costruttivi, stimando la dignità di ogni singolo io e rendendolo protagonista di uno sviluppo per il bene di tutti».

Guido Boldrin Ringrazio di cuore il Professar Pellegrini per quello che ci ha detto e che ci ha fatto vedere la scuola come un luogo dove si può costruire. Ma ci ha detto anche chi non può permettersi di non essere protagonista in un luogo dell'educazione, vale a dire gli adulti, noi adulti. Non mi riferisco solo ai genitori, perché i giovani ce li troviamo affianco anche sul lavoro o in molte altre occasioni. Lo ricordava il Cardinal Bagnasco con molta chiarezza all'ultima assemblea dei vescovi, quando diceva che il problema dei giovani sono proprio gli adulti. Perché i giovani, diceva, non respingono l'autorità, piuttosto cercano l'autorevolezza dei testimoni e dei maestri; tante volte sono così allo sbando, come purtroppo ci tocca constatare da quello che leggiamo sui giornali e che vediamo, ma la colpa non è loro. Ma il problema non è neanche quello di assegnare le colpe: si tratta di riprendere in rnano una responsabilità -l'altra grande parola che ci ha richiamato il Professor Pellegrini. I giovani da sempre nascono nello stesso modo, non è cambiato nulla: tutti nasciamo con lo stesso desiderio di bellezza, di felicità, di significato e verità.
L’altra parola che mi ha colpito nell’intervento del professore è “corresponsabilità”: lo abbiamo visto bene nel video che ci ha mostrato. Abbiamo visto, cioè, dei giovani che, lanciati in una bellezza, ne hanno fatto loro, in prima persona, esperienza. Le foto facevano vedere molto bene un’operosità e dentro di essa uno sguardo sereno, un sorriso. Credo che queste siano cose semplici e che bisogna semplicemente metterle in gioco.

Interventi e risposte
Anna
Sono una ex alunna del Liceo Scientifico "Orazio Tedone" il cui Preside Biagio Pellegrini è intervenuto prima. Ho partecipato per due anni consecutivi all'esperienza di volontariato in Zambia. Vorrei raccontare brevemente di che cosa ci siamo occupati perché le immagini che abbiamo visto e il racconto del Preside chiaramente non esauriscono l'esperienza che abbiamo vissuto.
Quest' anno ci siamo divisi in due gruppi: il primo ha fatto un mese di volontariato in un ospedale-orfanotrofio dedicato a Madre Teresa di Calcutta (di questo si sono viste le immagini con i bambini); il secondo gruppo si è dedicato alla costruzione della casa-famiglia per le ragazze: una casa dedicata alla parte femminile della popolazione di Mazabuka che era in difficoltà. Vorrei sottolineare ancora una volta il valore e r opportunità che abbiamo avuto, non tanto per il fatto di essere stati volontari quanto per la ricchezza che abbiamo ricevuto nell' esserlo. Siamo partiti inconsapevoli, impreparati, perché non sapevamo a cosa saremmo andati incontro, in quali condizioni versasse la popolazione del posto. Abbiamo sottostimato alcune cose e sovrastimato altre. Siamo tornati, e non lo dico affatto come luogo comune, arricchiti, più consapevoli del fatto che essendo giovani abbiamo davvero tanto in mano. Forse siamo piccole gocce nel mare, ma possiamo essere gocce responsabili e consapevoli di un' azione, che non è soltanto un'azione cattolica: tengo a sottolineare che siamo partiti come un gruppo laico, abbiamo rappresentato un liceo, quindi siamo stati un gruppo laico e laicamente abbiamo portato quel poco che sapevamo fare e abbiamo imparato davvero tanto. È stata un'esperienza imprevista per quello che ci ha donato: mi riferisco innanzitutto all' acquisizione di una mentalità diversa, che non ci aspettavamo di poter conquistare. Grazie.

Guido Boldrin Grazie Anna. Le cose più belle e più vere spesso sono quelle impreviste. Bisogna solo avere gli occhi pronti a coglierle, come avete fatto voi.

Luca
Sono un altro dei ragazzi che per due anni di seguito ha rotto le scatole al Preside per andare in Africa. Vorrei porre una domanda, sia al Preside che agli altri relatori intervenuti. Come deve approcciarsi, nel caso del nostro Preside o di un dirigente scolastico, la scuola, o anche un'altra istituzione, ad iniziative di volontariato (come quella che ci ha visti protagonisti in Africa), vista la scarsa collaborazione delle istituzioni comunali e regionali? Come si devono approdare ad azioni che spesso si svolgono nell'indifferenza generale della popolazione e che da un punto di vista politico richiamano ben pochi voti?

Don Geremia Ma tu fallo e basta! Non ti stancare! Hai detto che hai rotto le scatole al Preside: continua a rompere le scatole con la tua testimonianza, senza preoccuparti del politico di turno. A questo proposito c'è una parabola molto bella. Gesù era un tipo geniale e in una parabola racconta di una vedova che andava ogni giorno a rompere le scatole a un giudice disonesto. Questi alla fine decide di accontentarla per togliersela davanti. Lo stesso è per noi. È vero, c'è un'indifferenza totale. In genere ci emozioniamo a Natale perché
c'è il clima natalizio, ci commuoviamo perché Gesù bambino è nato al freddo e quindi riesce più facile fare un regalo, compiere un gesto di solidarietà, ecc. Insomma la nostra è spesso una solidarietà delle grandi occasioni.
Per questo ti dico: fai quelle cose, tanto alla fine vincerai tu!

Biagio Pellegrini Vorrei solo aggiungere che questa operazione, che aveva i suoi costi, si è potuta fare grazie all'autotassazione dei ragazzi. Non abbiamo avuto contributi se non in minima parte e solo perché abbiamo fatto i questuanti, I ragazzi non hanno percepito un centesimo per questa opera di volontariato, anzi hanno dovuto sostenere parte delle spese. Quindi si è trattato di volontariato pieno: in questo caso non c'è lo Stato che finanzia i progetti. Con tanti sacrifici, ma con tanta ricchezza, tanta gioia, tanta soddisfazione per i ragazzi. Ahimè, è vero ciò che dice Luca: noi ci aspettavamo un ritorno maggiore nel territorio. Ci aspettavamo che quest'opera facesse scoppiare altri fermenti. Tuttavia questi ragazzi sono convinti di aver fatto qualcosa di buono e sicuramente continueranno a farlo.

Intervento
Sono il Presidente dd Consiglio d'Istituto di questa scuola. La nostra iniziativa è emersa perché molti dei ragazzi - alcuni sono ancora iscritti a scuola, altri sono ex liceali perché bisogna avere la maggiore età per partecipare - premevano moltissimo. C'era un ponte in Africa grazie a suor Maria e lo abbiamo sfruttato per realizzare il nostro progetto.
Tuttavia quando il progetto è partito lo scopo non era tanto ciò che i ragazzi avrebbero fatto in Africa. Avevamo chiesto loro di fare i reporter, di registrare la situazione sul campo c di tornare per riportare un messaggio: il liceo scientifico ha ben 1200 ragazzi, che vuol dire circa 800 famiglie. Questo era il primo compito assegnato loro. Adesso l'esperienza sta cambiando in termini di progettualità: andiamo lì per realizzare un progetto, per costruire. Ma le due cose vanno perfettamente d'accordo.
La scuola, dunque, si è posta principalmente un problema didattico. Perché è chiaro che vi è un ritorno per i ragazzi c per le famiglie che ascoltano le esperienze di coloro che sono stati in Africa. Il nostro lavoro è una semina.
Il nostro obiettivo, pertanto, non è portare gli altri 1200 ragazzi in Africa, non sarebbe possibile, ma offrire loro una testimonianza. Noi adulti abbiamo un modo di comunicare che ormai è vecchio: lo dimostra il fatto che ciò che più ha lasciato il segno stasera è quel filmato girato dai ragazzi. Da
ciò noi dovremmo imparare qualcosa. Lo scopo di quel filmato è cercare di commuovere gli altri ragazzi: così parte il volontario.

Silvio Cattarina
Replico brevemente. In questa esperienza che ci è stata raccontata la cosa più interessante è l'osservazione che ha fatto poc'anzi il Preside quando ha detto che i ragazzi si sono tassati. Questo non è scontato, una volta si diceva «carità», «opere di carità»: adesso c'è questa parola moderna - volontariato - che però a mio avviso un po' fuorvia. Quella precisazione è tanto interessante che possiamo dire che il volontariato non è appena il «dopolavoro»: secondo me l'esperienza che hanno fatto i ragazzi, che ha fatto il Preside, è un tutt'uno nel senso che non è qualcosa di separato dalla vita. C'è bisogno che questa esperienza di bellezza, di verità, di giustizia, sia vera sempre. Noi torneremo dai nostri figli e dalle nostre mogli e deve essere la stessa cosa anche con loro, con i nostri colleghi e con il bidello della scuola. È
importante che il bene e la verità siano sempre per tutti. È giusto che stamattina sia stato invitato anche un imprenditore, lo considero anzi emblematico, perché un imprenditore, cioè anche chi vive (estremizzando un po') per il profitto, può essere un santo.
Tuttavia chi veramente paga il volontariato - forse anche la politica, il mondo, la gente, la società, ma non confidiamo troppo in queste cose - chi paga il volontariato è Dio, almeno per noi che siamo cristiani. Lo si fa, si diceva una volta, per il Paradiso. altrimenti non è volontariato.